Emanuela Orlandi, il fratello: “Il Vaticano ostacola la verità da 42 anni. Papa Francesco e Leone XIV? Hanno alzato il muro”

Era il 22 giugno 1983. A Roma faceva caldo. Una ragazza di quindici anni va a lezione di musica: suona il flauto traverso, si prepara a un saggio. Nel pomeriggio, la ragazza esce dalla scuola. E scompare nel nulla. Da 42 anni non se ne sa più niente: da quarantadue anni il fratello, Pietro, continua a cercarla.
Emanuela Orlandi era cittadina dello stato del Vaticano: da bambina, giocava nei giardini vaticani. La famiglia Orlandi era una delle pochissime famiglie laiche a vivere in Vaticano, minuscolo Stato importantissimo per il mondo intero, perché lì vive il papa. E proprio papa Giovanni Paolo II, pochi giorni dopo la scomparsa di Emanuela, il 3 luglio 1983, sorprendendo tutti ne parlò pubblicamente alla preghiera dell’Angelus, rivolgendosi “ai responsabili della sua scomparsa”. Confermando implicitamente l’ipotesi del sequestro.
Da allora, ci sono state mille piste seguite. Misteriose telefonate, richieste di uno scambio fra Emanuela Orlandi e Alì Agca, l’uomo che aveva sparato al Papa due anni prima. Nuovi appelli pubblici di papa Giovanni Paolo II, ma anche sospetti del coinvolgimento della banda della Magliana, la più temibile organizzazione criminale di Roma all’epoca. E ipotesi di un Vaticano sotto ricatto, l’ombra della pedofilia, di un debito immenso del Vaticano nei confronti della banda della Magliana. In tutto questo, Emanuela non è mai stata ritrovata. E sono passati 42 anni.

Si chiama proprio 42 il film che Pietro Orlandi ha presentato al Giffoni film festival. Un documentario diretto da sua figlia Elettra, in collaborazione con l’altra figlia Rebecca, che ha fatto da assistente alla regia e ha composto la canzone di chiusura, Mantello di quercia. “Abbiamo raccontato la nostra vicenda, per far sì che Emanuela Orlandi non venga dimenticata”, dice Pietro. Che abbiamo incontrato.
Che tipo di documentario è, Pietro?
“Un documentario fatto a costo zero, senza nessuna produzione importante dietro: si deve alla tenacia di Alessandra De Vita, una giornalista che da anni si interessa alla storia di Emanuela, e al lavoro delle mie due figlie. Spero che serva alle famiglie che vivono vicende simili, ma nel silenzio”.
Chi, secondo lei, ha ostacolato la ricerca della verità su Emanuela per tutti questi anni?
“Qualcuno all’interno del Vaticano. Io ho sempre considerato il piccolo Stato dove siamo nati come casa nostra: e invece, è proprio lì che alcuni continuano a nascondere la verità. Il Vaticano ci ha voltato le spalle”.
Ora ci sono tre indagini in corso sulla scomparsa di Emanuela: una commissione parlamentare d’inchiesta, un’inchiesta giudiziaria e anche un procedimento in Vaticano. Che cosa si attende?
“Alcuni commissari parlamentari hanno la volontà di andare fino in fondo alla questione: ma altri cercano di frenare. Fino a qualche anno fa tutti i politici mi rispondevano: ‘C’è il Vaticano di mezzo, non mi impiccio’. Oggi invece una commissione c’è, nonostante l’opposizione del Vaticano. E questa è una cosa positiva”.
Le ipotesi sulla scomparsa di sua sorella vanno dal coinvolgimento dei Servizi segreti alla banda della Magliana, dal terrorismo internazionale ai sospetti sulla pedofilia in Vaticano. Come ha vissuto tutte queste ipotesi?
“Quando Emanuela è scomparsa, io dei Servizi segreti avevo sentito parlare solo nei film: non credevo neppure che fossero cose reali. Poi, ogni giorno gli agenti dei servizi segreti venivano a casa nostra. Ci siamo fidati dei servizi segreti, delle forze dell’ordine, del Vaticano. Ci dicevano tutti ‘State calmi e in silenzio, non dite nulla di quello che facciamo…’. E noi a fidarci, a fidarci, a fidarci: abbiamo passato anni senza dire nulla. Ma siamo stati messi da parte”.
C’era un ricatto in corso, si è detto.
“Sì: da una parte c’erano i ricattatori, e dall’altra Giovanni Paolo II”.
I papi che si sono succeduti invece non hanno parlato della vicenda.
“No. Papa Francesco mi ha detto soltanto ‘Emanuela sta in cielo’, e basta. Ho chiesto un incontro con lui ma ci è sempre stato negato. Avrebbe potuto riceverci, e spiegarci meglio perché aveva detto quella cosa. Ma il muro si è alzato più di prima”.
Papa Francesco ha evitato di incontrarvi?
“Sì. Non ha mai voluto un incontro”.
Ha chiesto udienza al nuovo papa Leone XIV?
“Ho chiesto a persone vicine a lui di avere un incontro con lui, ma niente. Il fatto stesso che ci sia un’inchiesta in Vaticano vuol dire che non è una vicenda secondaria. E anche i sassi hanno capito che c’è qualcosa di più della semplice scomparsa di una ragazza”.
I segnali con papa Prevost non sono positivi?
“Nel primo discorso ha detto di ispirarsi a tre princìpi: pace, verità, giustizia. Ma i primi segnali con Leone XIV non sono positivi. Poteva fare un gesto di verità e giustizia. E invece non ha ricordato Emanuela durante l’Angelus dello scorso 22 giugno, che capitava proprio nell’anniversario della sua scomparsa. Bastava che dicesse una parola. Lo vedo come segnale di un non cambiamento rispetto al passato”.
Ma lei che idea si è fatta della verità?
“Se il Vaticano non riesce a liberarsi della scomparsa di una ragazzina, è evidente che c’è dietro qualcosa di più grosso. Ci sono stati sicuramente un ricattato e un ricattatore. Io sono convinto che il ricattato era ai vertici del Vaticano. E il ricattatore è un po’ dentro, un po’ fuori dal Vaticano: qualcuno che al momento voleva gestire lo Stato vaticano. Se hanno chiesto qualcosa di così grande, è perché qualcuno ha in mano il vero oggetto del ricatto. Io credo che il Vaticano potrebbe chiudere la questione in qualunque momento, inventandosi qualunque cosa. Se non lo fanno è perché qualcuno ha ancora in mano l’oggetto del ricatto”.
Lei spera sempre di trovare Emanuela viva?
“Finché non troverò i resti, manterrò sempre la speranza che Emanuela sia viva”.
Luce